Terapia continuativa per mantenere il peso: a dieta per sempre? Se per dieta si intende rigidità e deprivazione ,bè allora la risposta è NO! Ha ragione  Homer Simpson a inorridire di fronte alla parola DIET!  Non si possono seguire diete da fame a lungo termine ed è anche sconsigliabile intraprendere questi percorsi che difficilmente portano a stabilizzare il peso a lungo termine.Se per dieta s’intende invece “mangiare in modo adeguato a  mantenere un peso ragionevole e a mantenere uno stato di benessere con la regola dietetica del buon senso” bè allora la risposta è si! Mangiamo tutti i giorni  e per la maggior parte dei giorni del mese occorre seguire uno stile alimentare salutare che piaccia a corpo e mente!  A questo proposito copio qua di seguito un interessante articolo scientifico dei colleghi dell’AIDAP associazione italiana disturbi dell’alimentazione e del peso di Trapani.

La mia proposta personale proposta per seguire i pazienti anche nella delicatissima fase post-dieta dimagrante è  quella di offrire dai 4 ai 6 mesi di controlli brevi gratuiti a tutte le persone che in prima visita presentano un indice di massa corporea che corrisponde alla fascia di obesità.                                           

L’IMPATTO DELLA TERAPIA CONTINUATIVA SUL MANTENIMENTO DEL PESO PERDUTO A LUNGO TERMINE
Antonino Faillaci, AIDAP Trapani

Fonte: Middleton KM, Patidar SM, Perri MG. (2012) The impact of extended care on the long-term maintenance of weight loss: a systematic review and meta-analysis. Obesity Review,13, 509-17.

Non vi è dubbio che il problema principale che i terapeuti devono frequentemente fronteggiare nei pazienti che seguono un programma per la perdita di peso sia quello del recupero del peso perduto.
Middleton e collaboratori, del Dipartimento di Psicologia Clinica e della Salute della University of Florida hanno recentemente effettuato una revisione sistematica, condotta con i metodi rigorosi della metanalisi, per valutare l’impatto di interventi di terapia continuativa attuati dopo un programma comportamentale tendente a favorire una “realistica” perdita di peso dell’8-10%. Gli autori hanno analizzato i risultati di 11 studi clinici che hanno valutato l’efficacia di programmi di cura continuativa che includevano, alla fine del percorso di cura, una serie di interventi somministrati con varie modalità (es., contatto diretto individuale o di gruppo, telefono ma non internet) e tendenti a rinforzare comportamenti alimentari salutari o inerenti l’attività fisica, in assenza di un feedback positivo costituito dalla perdita di peso di per sé. Allo scopo di rendere le conclusioni di questa revisione sistematica maggiormente attendibili sono stati inclusi solo gli studi condotti con la metodologia del trial clinico controllato. In breve, questa modalità di ricerca valuta, oltre che un gruppo sottoposto all’intervento (cura continuativa), anche un gruppo, paragonabile in tutte le principali variabili, a cui l’intervento non viene offerto e che funge da controllo. L’analisi delle differenze fra i due gruppi ci informa della rilevanza dell’effetto riscontrato e quindi della reale efficacia dell’intervento stesso.
I risultati parlano in favore della terapia continuativa. In media, per conservare circa 3,2 kg di peso perduto sono stati necessari 17,6 mesi di follow-up e circa 29 contatti dopo l’intervento tendente alla riduzione del peso. L’effetto sul mantenimento del peso è maggiore nei soggetti che partecipano regolarmente alle visite di controllo. Inoltre, se l’intervento offerto è di natura comportamentale e svolto dagli stessi componenti dell’équipe terapeutica ha più probabilità di successo.
I risultati della cura continuativa sono incoraggianti sul mantenimento del peso, ma potrebbe esserci ancora spazio per migliorare ulteriormente il rendimento di questi programmi. La lunghezza della terapia, relativamente al problema dell’obesità, non può essere facilmente definita. Una patologia in cui si integrano fattori ambientali e biologico-genetici, come l’obesità, rappresenta una sfida spesso insormontabile e quasi sempre frustrante per il terapeuta e per i pazienti. Alcune delle variabili in gioco non sono controllabili, e il recupero del peso ne è una prova. Infatti la teoria del set point, cioè dell’esistenza di un livello di peso regolato attorno a un determinato valore in ciascun individuo, mai definitivamente confutata, ne rappresenta prova tangibile. Allora che fare? Lasciare che le cose vadano come la natura ha deciso per noi o cercare di modificare la traiettoria spontanea del peso verso il punto di partenza? Ciò di cui si deve tener conto è che comunque l’obesità rappresenta un problema di salute pubblica importante con implicazioni rilevanti sul piano economico e, conseguentemente, sulle risorse finanziarie di almeno la metà del nostro pianeta. Trovare il giusto punto di incontro tra una terapia di durata ragionevole e un follow-up non infinito sembra altresì cruciale. Altrimenti le spese sostenute per curare le persone in eccesso di peso eroderanno le risorse finanziarie tanto quanto il problema che si intende risolvere. A mio avviso questa problematica andrebbe affrontata su un duplice piano. A livello individuale, identificando i fattori predittivi di esito della terapia, intendendo come esito favorevole non solo la perdita ma anche il mantenimento a lungo termine del peso perduto. Sul piano sociale o di comunità, riducendo, attraverso interventi di natura politica e regolamentale, l’impatto dell’ambiente “tossico” che ci porta a mangiare in eccesso cibi ipercalorici e a muoverci di meno o a non muoverci affatto. Sappiamo dai dati del National Weight Control Registry consultabili da chiunque all’indirizzo web:http://www.nwcr.ws/default.htm che alcune caratteristiche accomunano coloro che mantengono il peso perduto (fare regolarmente la colazione, pesarsi almeno una volta la settimana, incrementare l’attività fisica, guardare poco la televisione, seguire una dieta povera di grassi). Sarebbe interessante studiare il percorso seguito da queste persone nel costruire un adeguato livello motivazionale e cercare di riprodurlo anche con interventi basati sulla comunicazione di massa. Ciò tuttavia risulterebbe un’impresa pressoché impossibile se non si modificassero adeguatamente alcuni “totem” dell’ambiente in cui viviamo, ivi comprese le potenti lobbies che governano la comunicazione pubblicitaria e la diet industry con i loro messaggi ammalianti. Non sfugge a nessuno che anche il raggiungimento di questi necessari obiettivi risulta particolarmente ostico. E quindi diventa oltretutto anche più comodo prendersela con chi non riesce a controllare la propria golosità o a soddisfare il proprio istinto alla pigrizia.
Comunque credo che perseguire obiettivi ambiziosi ma poco realistici potrebbe risultare in un esercizio che potremmo definire “donchisciottesco”. Ci si potrebbe accontentare, mentre seguiamo con interesse le politiche di rigida dissuasione dal consumo di cibi ipercalorici che si sperimentano oltreoceano (tassazione sulle bevande gasate, divieto di presentare il cibo in contenitori extralarge, divieti vari di usare sostanze dannose per la preparazione di cibi) di favorire la riduzione del proprio peso in modo “fisiologico”, per un tempo adeguato e poi lavorare, fin dall’inizio del programma, per instaurare quelle modifiche comportamentali che, solo se stabilizzate nel tempo, possano consentire di contrastare la naturale propensione al recupero del peso. Tratto dal sito www.positivepress.net